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La morte cerebrale è la fine della vita?

di Rosangela Barcaro

La richiesta di una moratoria sull'aborto, che in questi giorni tanto sta animando la discussione tra l'opinione pubblica del nostro Paese, ha riportato all'attenzione la questione del rispetto per la vita umana. Questa iniziativa ha riunito molti difensori dell'embrione che chiedono di sottrarre alla manipolazione distruttrice dell'uomo le fasi iniziali di esistenza dell'essere vivente. Tuttavia pari attenzione non è dedicata ai problemi etici sollevati dalla vita che sta volgendo alla sua conclusione, in particolare a quelli connessi ai metodi di accertamento del decesso mediante il ricorso a criteri riferiti alla funzionalità dell'encefalo.
Esistono tre tipi di criteri per accertare il decesso dell'essere umano: anatomico, fondato sulla constatazione della distruzione corporea; cardiocircolatorio, basato sull'evidenza clinica e strumentale della protratta assenza di battito cardiaco e di circolazione sanguigna; neurologico. Quest'ultimo criterio si applica in caso di pazienti che trapassino mentre ancora sono collegati alle apparecchiature per la rianimazione e la ventilazione; i medici che devono accertare la morte devono documentare uno stato che l'art. 1 della legge n. 578/1993 (Norme per l'accertamento e la certificazione di morte) identifica con il decesso dell'essere umano: "la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo". Il legislatore italiano ha fondato la sua decisione su una serie di studi internazionali, condotti per lo più tra gli anni Settanta ed Ottanta del Novecento, secondo i quali l'encefalo, incluso il tronco encefalico, è responsabile del controllo, integrazione e funzionamento coordinato dell'organismo. L'intero encefalo sarebbe, in altre parole, "l'integratore centrale", e la cessazione delle sue funzioni trasformerebbe l'organismo in una mera collezione di organi, le cui attività sono destinate a spegnersi celermente.
Studi più recenti, condotti a partire dagli anni Novanta da neurologi principalmente statunitensi e britannici, hanno messo in dubbio questa teoria ed hanno contribuito ad avviare un diffuso dibattito internazionale sull'impiego e l'affidabilità dei criteri neurologici per determinare la morte. Non si tratta, se non a prima vista, di una questione meramente medico-biologica, la cui analisi debba essere lasciata agli specialisti. È un problema ben più ampio, dal momento che i criteri neurologici della cosiddetta "morte cerebrale totale" sono entrati nella pratica medica, sono stati accolti nella giurisprudenza, e rappresentano un prerequisito etico fondamentale affinché sia lecito il prelievo di organi vitali dispari (cuore) da destinare al trapianto. Mettere in dubbio la teoria dell'integratore centrale comporta un ripensamento radicale delle modalità di dichiarazione del decesso e del reperimento degli organi per il trapianto.
È significativo che il Consiglio Nazionale delle Ricerche abbia deciso di finanziare una pubblicazione, curata da Roberto de Mattei ed intitolata Finis Vitae. La morte cerebrale è ancora vita? (C.N.R. – Rubbettino, Soveria Mannelli 2007) nella quale sono raccolte, tra le altre, le voci di neurologi, giuristi, filosofi e teologi europei ed americani, che da molti anni si interrogano sul tema della morte cerebrale. Il volume, che è la traduzione italiana dell'edizione inglese del 2006, è stato presentato al pubblico italiano durante una affollata conferenza tenutasi a Roma il 27 febbraio 2008.
Gli interventi raccolti nel volume e la discussione di cui essi sono stati oggetto durante la presentazione mostrano che non è più sostenibile, né sotto il profilo scientifico né sotto quello etico-filosofico, considerare cadaveri i pazienti che abbiano subìto estese lesioni cerebrali: ancorché essi siano privi di coscienza e necessitino di ventilazione polmonare, il loro organismo conserva funzioni, quali controllo neurormonale, equilibrio idrosalino, guarigione delle ferite, che sono espressione di integrazione corporea. La conclusione alla quale sono giunti gli autori dei saggi è semplice e sconvolgente: la condizione denominata morte cerebrale è ancora vita, ed il paziente in tale stato, seppure presenti lesioni irreversibili e fatali, è ancora vivo. La più immediata conseguenza di questo riconoscimento è che prelevare organi da questi soggetti comporta il loro decesso. Gli studiosi di bioetica sono così chiamati anche in Italia ad affrontare una sfida, che non possono evitare semplicemente con l'appello alla legge vigente.


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