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Difesa della Vita



 
DAGLI EMBRIONI IN VITRO AI MORTI IN COMA DÉPASSÉ

PAOLO BECCHI


La recentissima approvazione della legge sulla fecondazione assistita induce ad alcune riflessioni di natura più generale sui valori della vita umana, dal suo inizio alla sua fine.

Non intendo affatto qui sostenere che il prossimo obiettivo sarà e debba essere la legge sull’aborto. Certo è lecito chiedersi se l’ampio grado di protezione che la nuova legge concede agli embrioni possa pure portare ad una nuova considerazione del tema dell’aborto.

Vorrei però qui insistere solo su un punto: l’embrione nel ventre di una donna è “diverso” dall’embrione contenuto in provetta.

Mentre il primo è comunque legato a colei che sta portando avanti la gravidanza, il secondo è a quel primissimo stadio indipendente da essa. In fondo è già un soggetto debolissimo che si interrelaziona con altri soggetti; la coppia che l’ha desiderato e i medici che l’hanno aiutata ad averlo, la società intera che si interroga, ad esempio, sul destino di quegli embrioni soprannumerari che già ci sono.

La tecnica della fecondazione assistita ci ha posto di fronte ad un nuovo problema. L’esistenza di un essere umano che già nella sua primissima fase, sia pure passivamente, interagisce con altri esseri umani.
Ecco perché, a mio avviso, una legge che lo protegga adeguatamente può essere sganciata dal problema dell’aborto. Ma non è su questo che intendo insistere. Per quanto paradossale a prima vista possa sembrare, credo infatti, che questa legge dovrebbe indurci a spostare la nostra attenzione dalla fase iniziale della vita alla fase finale.

Possibile che una entità appena embrionale abbia tutti i diritti (a mio avviso sacrosanti) se le sono stati attribuiti e un morto “cerebrale” non ne abbia nessuno, tanto che in quella condizione siamo autorizzati a prelevargli gli organi? Si dirà cosa c’entra? Quelli sono morti stecchiti, mentre l’embrione una qualche potenzialità di vita ce l’ha.

Il fatto però è questo: abbiamo ritenuto doveroso proteggere un’entità delle dimensioni della punta di uno spillo in una provetta, ma abbiamo ritenuto di non conferire alcun diritto ad un essere umano in carne ed ossa, che presenta una temperatura corporea attorno ai 37° C, colorito roseo, battito cardiaco, e atto respiratorio non spontaneo, ma mantenuto dai macchinari per la rianimazione. In fondo, come nel caso della fecondazione assistita, sono le avanzate tecniche che ci hanno posto di fronte ad un nuovo problema: “Che fare di individui che sottoposti a rianimazione non sono più in grado di ritornare alla vita cosciente?”, ma abbiamo preteso di risolverlo molto facilmente, definendo morti pazienti il cui cervello ha smesso definitivamente di funzionare, anche se il loro organismo continua a funzionare benissimo, forse ancora meglio di quelle poche cellule nel bicchierino che di cervello comunque non ne hanno ancora.

Ma una legge precisa dello Stato ha ridefinito la morte nei termini seguenti (essa identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello) e come tale quegli individui sono per legge morti, mentre gli embrioni, già nel loro primissimo stadio, sono vivi e se ancora non hanno un cervello, presto questo si formerà.

Peccato però che quella legge sulla morte si basi su un presupposto che oggi nella letteratura medico-scientifica più accreditata è ritenuto del tutto privo di qualsiasi fondamento.
Documentate ricerche condotte soprattutto da medici americani (potrei fare una sfilza di nomi, ma non avrebbe qui senso – avviso il lettore che è imminente pubblicazione presso la ESI* di Napoli un libro al riguardo) hanno dimostrato che i pazienti, i quali corrispondano agli attuali criteri clinici e test neurologici previsti per accertare la morte cerebrale, non necessariamente presentano la perdita irreversibile di tutte le funzioni cerebrali.

Queste ricerche non solo non sono state smentite, ma hanno trovato sempre più consenso in ambito scientifico, tanto che vi è oggi chi sostiene che la “morte cerebrale” sia una finzione: un abile espediente per definire morti esseri umani che in realtà non lo sono; anzi nella condizione in cui si trovano sono, per così dire, molto più vivi di quegli embrioni che il parlamento italiano ha ritenuto di dover tutelare con grande rigore, vietando, tra l’altro, la loro produzione in soprannumero, il loro congelamento e così via.

Con i morti cerebrali invece possiamo continuare a fare di tutto: grazie ad un consenso più o meno manipolato possiamo soprattutto utilizzarli come pezzi di ricambio per altri organismi “difettosi” prelevando i loro organi a cuore battente.

Mi chiedo: se già un grumo di cellule umane embrionali è intoccabile, non dovrebbe esserlo a maggior ragione il corpo di un essere umano il cui destino è certo segnato, ma che comunque vive ancora?

* Cfr. QUESTIONI MORTALI. L'attuale dibattito sulla morte cerebrale e il problema dei trapianti, a cura di R. BARCARO e P. BECCHI, Napoli, ESI, in stampa


 
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