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Tra(i)pianti. Spunti critici intorno alla legge in materia di donazione degli organi e alla sua applicazione

di Paolo Becchi


(Estratto, con qualche lieve variazione, da “Ragione pratica”, 18, 2002 pp 275 -288)


0 - Nell'aprile del 1999 è entrata in vigore, dopo un lungo e complesso iter parlamentare, una nuova legge sui trapianti (la legge n. 91). Essa prevede altresì - proprio con riguardo all'aspetto che maggiormente la caratterizza, vale a dire quello concernente la dichiarazione di volontà in ordine alla donazione - una fase transitoria dalla quale in realtà non solo non siamo ancora usciti, ma che anzi con il passare del tempo ha assunto sempre più una sua propria fisionomia, finendo quasi de facto per sostituirsi alla legge medesima.
Vorrei articolare questa mia conversazione in tre punti.
Anzitutto intendo richiamare l'attenzione sulla novità introdotta dalla recente legge; mi concentrerò poi sul modo in cui, in conformità ad essa, si sarebbe dovuto provvedere ad informare l'intera cittadinanza e come ciò sia concretamente avvenuto. Cercherò, infine, di illustrare le caratteristiche della fase transitoria che è quella - a tre anni di distanza dalla promulgazione della legge - tuttora vigente.

1 - Tra gli aspetti più innovativi della recente legge sui trapianti vi è sicuramente l'introduzione del silenzio-assenso per quel che attiene la dichiarazione di volontà in ordine alla donazione degli organi. Un tale criterio va a sostituire quello previsto dalla legge precedente sui trapianti (del 1975), che si basava sul consenso presunto, combinato tuttavia con la facoltà di opposizione dei più prossimi congiunti.
L'adozione del nuovo criterio comporterà che il cittadino, il quale debitamente informato della necessità di esprimersi riguardo alla donazione post rnortem dei suoi organi (tramite comunicazione a lui notificata a cura dell'Azienda sanitaria locale competente per il territorio) non abbia espresso la propria posizione (né di assenso, né di dissenso) entro novanta giorni dall'anzidetta notifica, sarà automaticamente considerato donatore (artt. 4 e 5).
Anche se allo stato attuale la questione può apparire squisitamente teorica, dal momento che sino ad oggi nessuno ha ricevuto la notifica, vale la pena avanzare qualche riserva sul criterio adottato dal legislatore.
Cominciamo da una osservazione di natura generale. Il meccanismo del silenzio-assenso è tutt'altro che estraneo all'esperienza giuridica: lo si ritrova tanto nel codice civile quanto nella pubblica amministrazione. Nel primo caso è comunque evidente che le conseguenze del silenzio vadano a favore di colui che tace: ciò che si persegue automaticamente è il suo vantaggio. Con riferimento ai trapianti, invece, ad essere beneficiato non è il soggetto stesso, ma terzi a lui estranei. Nel secondo caso esso risponde a precise esigenze acceleratorie dei procedimenti cui viene applicato. Ben altro valore ha tuttavia il presumere la volontà amministrativa di un ente (la P.A.), in modo da avviare alla sua ben nota inerzia, e il presumere la volontà di una persona sul proprio corpo. Insomma, la trasposizione del criterio del silenzio-assenso alla donazione degli organi non trova corrispondenza né nelle esigenze di tempestività operativa per cui è stato introdotto nella pubblica amministrazione, né nei casi esplicitamente previsti dal codice civile.
Nondimeno resta da chiedersi perché esso non possa pure essere esteso alla donazione degli organi. Il motivo per cui è stato introdotto anche in questa materia è evidente: si è pensato di ovviare alla scarsità di organi disponibili. Ammesso (ma non concesso) che si possa raggiungere l'obiettivo sperato dobbiamo chiederci se sia eticamente e giuridicamente lecito raggiungerlo in tal modo.
Vorrei qui avanzare due obiezioni di principio: la prima riguarda la completa esautorazione della famiglia rispetto al destino dei cadaveri dei propri congiunti; la seconda la legittimità etica e giuridica del silenzio-assenso in quanto tale (nella fattispecie a cui è stato recentemente applicato). Consideriamo anzitutto il primo aspetto. Un cadavere (non discuto qui se il criterio della morte cerebrale totale sia sufficiente a definire morta una persona perché l'argomento richiederebbe una trattazione apposita) è il corpo di un uomo ormai privo di vita, che in un certo lasso di tempo andrà in putrefazione: anche se sicuramente quel corpo privo di vita non è più una persona, è comunque la spoglia mortale di quella determinata persona e non di un'altra. Per questa ragione credo che persino la salma in sé, in quanto resta pur sempre la proiezione oltre la vita della persona che è stata, abbia diritto ad un atteggiamento di rispetto. Quello che voglio dire è che non solo le persone, ma anche i cadaveri hanno una loro dignità.
Non intendo tuttavia insistere in questa sede su questo punto. Anche qualora non volessimo spingerci a tanto, dovremmo perlomeno ammettere che un atteggiamento di rispetto verso la salma sia deducibile dal valore affettivo di cui è portatrice. Il rispetto nei confronti del cadavere scaturisce dal ricordo che esso porta con sé di ciò che è stato vivo. Ma questo ricordo non è del defunto che essendo morto, ovviamente, non può ricordare nulla; bensì anzitutto di coloro che hanno condiviso con lui la sua vita e ora sentono la sua mancanza. Il morto è oggetto della memoria dei suoi famigliari ed è circondato dal loro affetto e dalla loro pietà. Con lui in fondo se ne va anche una parte di loro.

A questa riflessione prettamente etica vorrei aggiungerne una giuridica: questo sentimento di pietà verso i defunti trova una propria tutela penalistica in alcuni articoli del codice (artt. 407 e ss.) espressamente dedicati ai "delitti contro la pietà dei defunti". Si potrebbe replicare che tali articoli hanno perso di importanza in una società sempre più secolarizzata, e magari sottolineare che non è compito del diritto tutelare tali sentimenti. Al riguardo bisogna tuttavia osservare che nel modo di trattare i morti onorandone la memoria e facendosi interpreti delle loro ultime volontà entra in gioco qualcosa che gli uomini (da vivi) sentono il bisogno di doversi reciprocamente riconoscere: il fatto di essere certi che saranno trattati nel rispetto della loro identità anche quando non ci saranno più.
Beninteso, non intendo affatto sostenere che il trapianto di organi di per sé sia lesivo della pietà dei defunti, o di questo sentimento di autostima che ciascuno ha, ma è certo che se esso viene effettuato (come nel caso previsto dalla legge) senza alcun riconoscimento del coinvolgimento sentimentale dei famigliari viola non solo il loro diritto ad una adeguata elaborazione del lutto, ma anche quello a farsi interpreti della volontà del defunto, qualora questi non l'abbia manifestata.
Ma - a prescindere dai famigliari - non si violano anche i diritti del defunto nel momento in cui si prelevano i suoi organi senza un suo esplicito consenso? Passo così a considerare la seconda obiezione. Sotto il profilo etico viene subito da chiedersi che tipo di donazione sia quella che viene compiuta senza neppure sapere di compierla. L'ultimo grande tabù collettivo, la morte e il morto, poteva essere rimosso soltanto compensando l'atto della violenza estrema sul corpo con il gesto più puro: quello del dono. L'etica del dono fa leva sui sentimenti più nobili e disinteressati dell'animo umano, ma come può conciliarsi con una asettica presunzione di legge? In linea di principio ci viene richiesto di compiere una scelta consapevole come è quella di donare gli organi, di fatto ci si accontenta di un silenzio che tutto può esprimere tranne che la consapevolezza ditale scelta.

Due sono gli aspetti che mi paiono più problematici. Non possono qui che accennarvi.

(a)- Sino a poco tempo fa l'etica e il diritto moderni si sono occupati prevalentemente della condizione umana tra due estremi ben definiti: la nascita e la morte. Gli enormi sviluppi tecnologici e scientifici applicati alla medicina tuttavia ci hanno posto (e lo faranno sempre più) di fronte ad una situazione radicalmente nuova: procreazione artificiale (all'inizio) e prolungamento artificiale (alla fine) non possono non richiamare l'attenzione sulla tutela della persona sia prima della sua nascita che dopo quella che oggi, per legge, viene ritenuta la sua morte. E come esiste una tutela della vita prenatale (per quanto in stretta relazione agli interessi della madre e comunque con dei limiti legali per l'interruzione della gravidanza) non si vede perché non potrebbe pure esistere una tutela della "vita" - mi si conceda il paradosso - postmortale (magari anche in relazione ai sentimenti dei congiunti). Ad una personalità in via di sviluppo nel nascituro corrisponderebbe in tal modo una personalità in via di estinzione nel defunto. L'alone di protezione che l'etica e il diritto moderni hanno garantito alla persona dovrebbe così estendersi a tutelarla tanto al di qua della nascita quanto, almeno per un certo tempo, al di là della morte.
Tutto ciò non intende affatto mettere in discussione la liceità dei trapianti, ma soltanto sottolineare che i cadaveri non sono puramente e semplicemente cose con le quali si può fare quel che si vuole (da questo punto di vista è significativo che venga penalmente punita ogni forma di commercializzazione del cadavere). Una scelta libera e responsabile di donare gli organi post mortem e sicuramente di alto valore morale, ma quando si vuole perseguire tale obiettivo aggirando l'ostacolo della decisione personale è proprio come se quell'alone di protezione scomparisse.

(b)- Queste considerazioni possono sembrare troppo filosofiche: benché io non creda che sia così vorrei offrirvi un secondo spunto di riflessione che attiene più propriamente la sfera giuridica. Mi chiedo: non lede, forse, il criterio del silenzio-assenso un diritto fondamentale dei cittadini, e cioè la libertà di opinione? A prima vista si può rimanere sconcertati rispetto a questo interrogativo: la legge infatti riconosce il diritto a manifestare una opinione dissenziente rispetto al prelievo, non si vede quindi come possa ledere quel diritto. La legge tuttavia considera, con il silenzio-assenso, la mancata opposizione al prelievo equivalente alla donazione. Ora, il fatto che un soggetto non si sia espresso in un modo o nell'altro non comporta necessariamente che sia favorevole. Quando il silenzio viene equiparato all'assenso, ciò che viene leso è proprio il diritto a che il silenzio venga considerato per quello che è: un modo di esprimere la propria opinione permanendo nel dubbio.
Su una questione così personale e delicata dovrebbe essere rispettata la non-scelta di chi indeciso, permane nel dubbio. Stabilire invece a suo carico una decisione che egli non si è sentito di prendere potrebbe configurarsi come una indebita interferenza nella sua sfera privata. Il bene della società non può soverchiare il diritto al rispetto del silenzio dell'individuo. La solidarietà è certo lodevole, il dare più nobile del prendere, ma quando non è più volontaria, bensì sembra quasi carpita con l'inganno, allora dobbiamo seriamente chiederci se in questo modo essa medesima non venga snaturata.
Coloro che si richiamano alla nostra Costituzione per sottolineare i doveri di solidarietà a cui in essa si fa riferimento (art. 2) dimenticano che il suo spirito verrebbe completamente stravolto se tra tali doveri si dovesse anche includere quello di donare ciò che è più proprio di noi stessi, vale a dire il nostro corpo. La costituzione, che è anche un mezzo di difesa del cittadino contro lo Stato, si trasformerebbe pericolosamente in uno strumento che può essere utilizzato contro (la parte più intima) di lui. Il senso di una costituzione liberale, tipica di uno Stato di diritto, verrebbe a modificarsi sostanzialmente e forte sarebbe il rischio di uno scivolamento in senso autoritario-paternalistico.
Tiriamo una prima conclusione: in quella che è stata definita l"'età dei diritti" si pretende con il silenzio-assenso di introdurre un nuovo elemento di doverosità all' interno dell'ordinamento statale, togliendo spazio vitale al dubbio su un problema che riguarda la sfera più intima e privata di noi tutti. In un'epoca in cui inoltre assistiamo ad un ritorno dei valori della famiglia la nuova legge sul prelievo di organi da cadavere la esautora del tutto in un ambito in cui è direttamente coinvolta. Era proprio necessario imboccare questa strada?

2- Bisogna tuttavia a questo punto precisare un aspetto che almeno nel testo della legge acquista un notevole rilievo. Eliminando la possibilità dell'opposizione dei congiunti, e mantenendo al contempo un sistema in cui non è indispensabile l'espresso consenso dell'interessato, il legislatore ha sentito la necessità di introdurre a garanzia del cittadino un elemento di controbilanciamento. L'equiparazione del silenzio all'assenso doveva, come dire, essere legittimato da un'ampia e al contempo capillare opera di sensibilizzazione tale da consentire effettivamente a ciascun cittadino di compiere una scelta consapevole: informarsi per scegliere, ma anche eventualmente per acconsentire tacendo. Quest'ultima conclusione solleva subito qualche perplessità anche con specifico riguardo al problema dell'informazione.
Nell'ambito del trattamento sanitario, come è noto, ha sempre più acquisito rilievo il cosiddetto "consenso informato". Questo comporta che il paziente sia direttamente coinvolto nelle scelte che lo riguardano: è ormai un suo acquisito diritto, quando ciò non costituisca un pericolo per la collettività, quello di consentire o dissentire dalle cure mediche. In questo senso tuttavia il consenso riguarda scelte che devono essere prese nel presente e non nel futuro. Orbene, il consenso al prelievo post mortem apre, a livello di diritto positivo, una nuova prospettiva: quella, che nel linguaggio tecnico viene usualmente definita, delle "direttive anticipate"; ma lo fa in un modo che lascia alquanto perplessi: al posto del consenso informato ci presenta il silenzio informato. Insomma, per farmi togliere un dente c'è bisogno del mio esplicito consenso, per prelevarmi polmoni, reni, cuore e quant'altro è sufficiente il mio silenzio. Certo, nel primo caso io sono vivo, nel secondo è stata accertata la morte cerebrale, e tuttavia - si dovrà pure ammetterlo - la soluzione del silenzio (equiparabile all'assenso) stride in un contesto complessivo in cui il consenso informato è diventato sempre più l'autentico protagonista.
Ma vediamo un po' più da vicino cosa prevede la legge riguardo all'informazione. Essa affida al Ministero della Sanità il compito di promuovere «nel rispetto di una libera e consapevole scelta, iniziative di informazione dirette a diffondere tra i cittadini:
a) la conoscenza delle disposizioni della presente legge [...];
b) la conoscenza di stili di vita utili à prevenire l'insorgenza di patologie che possano richiedere come terapia anche il trapianto di organi;
c) la conoscenza delle possibilità terapeutiche e delle problematiche scientifiche collegate al trapianto di organi e tessuti» (art. 2, comma 10).
Dal canto loro le Regioni e le Aziende Sanitarie Locali sono chiamate ad adottare iniziative volte a:
“a) diffondere tra i medici [...] la conoscenza delle disposizioni della presente legge [...];
b) diffondere tra i cittadini una corretta informazione sui trapianti [...];
c) promuovere sul territorio di competenza l'educazione sanitaria e la crescita culturale in materia di prevenzione primaria, di terapie tradizionali e alternative ai trapianti» (art. 2, comma 2°).
Il comma 3° dello stesso articolo autorizza altresì una pesa complessiva di due miliardi di lire annui per l'attuazione di questo vasto programma di informazione.
L'idea che guida il legislatore è dunque quella di offrire, tramite diverse istituzioni - centrali e locali - la massima diffusione alla legge in oggetto. E' significativo che si insista sulla necessità di portare a conoscenza dei cittadini non solo la legge, ma altresì le problematiche scientifiche connesse ai trapianti e che si faccia anche riferimento a finalità preventive. Va ribadito come la prevista campagna informativa non si configuri come una mera opportunità, bensì come un atto dovuto.

Passiamo ora ad analizzare concretamente come è stata effettuata tale opera di informazione. Dall'entrata in vigore della legge qualcosa a livello nazionale ha cominciato a muoversi nel maggio del 2000 quando una buona parte di italiani si è vista recapitare, assieme ai certificati elettorali per i referendum del 21 maggio, anche una bustina del Ministro della Sanità contenente un tesserino per la donazione degli organi.
L'attività a livello regionale andrebbe sottoposta ad una valutazione differenziata e qui debbo riconoscere che la Regione Piemonte è stata la prima e tuttora una delle poche a realizzare un opuscoletto, in formato tascabile, funzionale a presentare con un linguaggio accessibile le problematiche dei trapianti12. Di specifiche attività intraprese dalle Aziende (Unità) Sanitarie Locali non sono invece a conoscenza.
Concentriamo pertanto la nostra attenzione sulla bustina del Ministro. Intitolata «Una scelta consapevole» è aperta da un breve messaggio in cui l'ex-Ministro della Sanità, Rosy Bindi, invita ciascun cittadino ad esprimersi in merito alla propria disponibilità a donare e a tal fine include l'apposito tesserino. Alcune scarne informazioni, in forma di risposta a tre domande, sono posposte, in corpo minore, al tesserino da compilare. Parrebbe quasi che il cittadino sia chiamato prima a decidere sulla base della lettura del messaggio del Ministro e poi, se vuol «saperne di più», ad informarsi. E in questo messaggio la Bindi utilizza tutti i ben noti argomenti retorici sulla donazione, senza fornire alcuna informazione in merito: un esempio da manuale di manipolazione del consenso. Di più, se si leggono attentamente quelle righe ci si può rendere conto dell'opera di disinformazione che viene fatta. Il Ministro scrivendo «se Lei non avrà deciso potranno farlo i Suoi familiari», suscita nel lettore l'impressione che la nuova legge consenta ancora il riferimento ai famigliari, quando invece ciò vale solo per la fase transitoria prevista dalla legge medesima, ma non per la disciplina definitiva che li esautora completamente. Illustrando la nuova normativa (espressamente dice di riferirsi alla «nuova legge sui trapianti») il Ministro induce a credere definitivo ciò che invece - per la legge - è meramente transitorio. Va inoltre aggiunto che il Ministro non specifica in quale modo i famigliari - nella fase transitoria -potranno eventualmente manifestare la loro opposizione. Il punto è tutt'altro che irrilevante, dal momento che la nuova legge modifica al riguardo quella precedente, indebolendo - già nella fase transitoria - il potere di intervento dei famigliari.

Tutt'altro che sufficienti sono altresì le informazioni articolate in tre punti, che seguono il tesserino.

Il primo punto riguarda la dichiarazione di volontà, che può essere fatta appunto tramite il tesserino e modificata «in ogni momento» compilandone un altro. Si può altresì esprimere la propria volontà presso la ASL di appartenenza o al medico di famiglia. E questo è tutto. Se noi prendiamo in considerazione il testo della legge ci accorgiamo però subito che esso prevede un meccanismo del tutto diverso, e cioè l'istituzione di un sistema informatizzato che una volta attivato dovrebbe consentire immediatamente di venire a conoscenza delle dichiarazioni di volontà tramite consultazione dei dati dell'«archivio nazionale». Invece di informare i cittadini che la legge riguardo alla manifestazione della volontà introduce il silenzio-assenso (per cui chi non sarà registrato nell'archivio come non donatore verrà automaticamente considerato donatore), il Ministro, con l'invio del tesserino, se ne esce con un nuovo sistema di raccolta delle dichiarazioni di volontà di cui non si trova alcuna traccia nella legge approvata. Mentre la legge prevede che le Aziende Sanitarie Locali notifichino ai loro assistiti, secondo modalità che proprio il Ministro doveva stabilire, la richiesta di dichiarare la loro volontà in ordine alle donazioni, il Ministro invita i cittadini a compilare il tesserino oppure a recarsi presso le ASL a dichiarare le loro volontà. Dunque, per lo meno nell'immediato, tocca agli assistiti attivarsi e non più alle ASL.

Il secondo punto concerne il problema di quando si procede al prelievo degli organi. Va sottolineato che tra i compiti attribuiti dal legislatore (cfr. art. 2, comma l°, lett. a) al Ministro della Sanità rientrava non solo quello di far conoscere la nuova legge sui trapianti, ma anche quella precedente sull'accertamento della morte. Insomma, su questo punto particolarmente delicato, l'informazione doveva essere il più possibile chiara e precisa. L'informazione fornita è invece per un verso scorretta, per l'altro reticente. L'informazione non è corretta perché pare suggerire l'idea che la morte cerebrale equivalga alla morte delle cellule cerebrali (si afferma che «il cervello non funziona più e non potrà mai più funzionare a causa della completa distruzione delle cellule cerebrali»). La definizione di morte presupposta dalla legge è tuttavia diversa: essa fa propria quella della legge precedente sull'accertamento di morte (la n. 578 del 1993)16 in cui la morte viene definita come «la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo», il che non esclude - se male non mi appongo - l'attività residua di alcune cellule cerebrali. Insomma, la morte cerebrale non è la morte cellulare.
L'informazione è reticente perché, con tono rassicurante, si sottolinea che il prelievo avviene soltanto dopo la morte del cervello, ma non si dice che esso avviene - come di fatto succede - prima che il cuore abbia cessato di battere. Ciò che non viene detto è che l'organismo viene conservato in una sorta di “vita simulata” al solo scopo di mantenere in una condizione ottimale gli organi da espiantare. La respirazione artificiale consente al polmone di continuare la sua funzione, il polmone che respira fa battere il cuore, il cuore che batte fa circolare il sangue, il sangue che circola mantiene vitali gli organi. Con tutto ciò quell'individuo viene definito, per legge, morto e quindi si può procedere al prelievo dei suoi organi. Non voglio certo qui riaprire la discussione su questo nodo cruciale. Un'informazione obiettiva avrebbe però dovuto quantomeno segnalare il problema: si è preferito invece nasconderlo, mostrando al lettore l'assoluta certezza scientifica della definizione di morte cerebrale (tra l'altro presentata confusamente).

Il terzo punto, infine, riguarda il problema dell'illiceità della compravendita degli organi e della donazione anonima. Un'adeguata informazione avrebbe dovuto spiegare perché si è optato tout court per un sistema di allocazione diverso dal mercato, perché cioè si è ritenuta inammissibile la commercializzazione degli organi. Vi sono senza dubbio delle buone ragioni per questa opzione di fondo, ma andavano spiegate, perlomeno accennate, dal momento che nel dibattito bioetico vi sono autori che sostengono la posizione opposta.
Un discorso diverso meriterebbe l'anonimato. Anzitutto non è vero che la donazione è sempre anonima. Il prelievo del rene da vivente è ammesso dalla legge in prima istanza proprio sulla base di vincoli parentali sussistenti tra il donatore e il beneficiario. Certo, il prelievo da cadavere presenta altri problemi, non si può tuttavia negare che negli ultimi anni si siano verificati fatti drammatici di cronaca in cui proprio la diffusione data dalla stampa alle relazioni venutesi a creare tra i famigliari del defunto donatore e i beneficiari (e i loro congiunti) degli organi ha contribuito ad incrementare il numero delle donazioni. E' significativo osservare come la legge preveda sanzioni per chi fa commercio di organi (art. 22), nulla invece prevede per quel che riguarda l'anonimato, pur ribadendo l'obbligo di garantirlo (art. 18)211. Vi è un altro aspetto che non mi pare sia stato adeguatamente considerato: da un punto di vista laico è lecito chiedersi se il gesto di solidarietà che ci viene chiesto possa spingersi sino al punto di donare i nostri organi a persone che magari disprezziamo.

Tiriamo le somme: le informazioni contenute nella busta sono riguardo al primo punto scorrette, riguardo al secondo quantomeno confuse, riguardo al terzo carenti e comunque complessivamente insufficienti per poter consentire al cittadino di operare «una scelta consapevole».

Due sono le cose che più sconcertano nell'operato del Ministro.
La prima è che la legge gli attribuiva il compito (art. 5) di disciplinare con un apposito decreto attuativo le disposizioni sulla dichiarazione di volontà. Al posto di emanare tale decreto il Ministro ha provveduto a recapitare il tesserino di cui nella legge non si faceva alcuna menzione.
La seconda è che la legge prevede che proprio il Ministro della Sanità promuova una «campagna straordinaria di informazione sui trapianti» (art. 23).
Si è invece proceduto in senso contrario:
oggi il tesserino, domani l'informazione.

3- Dal momento che i meccanismi attuativi della nuova legge sono rimasti sinora in gran parte lettera morta, conviene soffermarsi sulla fase transitoria prevista dalla legge medesima: qual è la situazione attuale riguardo al nodo cruciale della dichiarazione di volontà?
A prima vista l'impressione è che nulla sia cambiato rispetto alla legge precedente, poiché nella fase transitoria (art. 23) viene ancora concesso ai famigliari di opporsi all'espianto. Vi sono tuttavia tre differenze che sono di tutt'altro che scarso rilievo.

In primo luogo, il dovere dei sanitari di promuovere l'intervento dei famigliari è stato indebolito. Mentre per la vecchia legge (ex art. 6) i sanitari responsabili dell'operazione di prelievo prima di procedere all'espianto dovevano rivolgersi ai famigliari con una «formale proposta», nella nuova legge si dice, molto più genericamente, che essi sono tenuti ad informare (art. 3) i famigliari riguardo alla possibilità dell'espianto e tocca a questi ultimi attivarsi «entro il termine corrispondente al periodo di osservazione ai finì dell'accertamento della morte» per presentare l'opposizione scritta (art. 23). E' vero che formalmente non è mutato il criterio temporale; ma, si noti, il periodo di osservazione nel 1975 era di dodici ore, mentre nella nuova legge esso è stato dimezzato. Dunque i margini di intervento per i famigliari, per presentare la loro eventuale opposizione, sono molto più ristretti.

In secondo luogo è stato ridotto, anche da un punto di vista sostanziale, il potere di opposizione dei famigliari. Stando infatti alla lettera della legge precedente l'opposizione di questi ultimi poteva vanificare persino la volontà di donare espressa in vitam dal loro congiunto. Tale potere di opposizione è stato esplicitamente escluso dal legislatore già nella fase transitoria.

In terzo luogo è stata estesa la possibilità dell'intervento oppositivo ad altri soggetti: il convivente more uxorio e il rappresentante legale dell'incapace. Sotto questo profilo la disciplina transitoria procede in senso contrario rispetto a quella definitiva aumentando i soggetti che possono opporsi. Da quanto detto si può dunque concludere che la fase di transizione è certo ancora in linea con la vecchia normativa, presenta tuttavia delle variazioni che sono persino tra loro contraddittorie: da un lato si cerca già di ridurre il potere di opposizione dei congiunti, dall'altro si ampliano i soggetti legittimati ad esercitarlo.
Da ultimo, ma non ultimo per importanza, sia qui ricordato che - con riguardo alla dichiarazione di volontà - manca completamente una tutela penale per la fase transitoria.
Il risultato è che attualmente in Italia vige, per quel che attiene la dichiarazione di volontà in ordine ai trapianti, un criterio ibrido tra il silenzio-assenso informato previsto dalla nuova legge e il consenso presunto previsto da quella vecchia. Per soddisfare compiutamente il primo criterio (eliminando il ricorso ai famigliari) ci doveva essere una corretta informazione (come disposto dalla legge), che sinora non c'è stata, anche se il cittadino è già stato interpellato per iniziativa ministeriale, con l'invio di un tesserino. Seguendo il secondo criterio, che contempla il ricorso ai famigliari, allo Stato non spetta alcuna iniziativa istituzionale, il cittadino invece è stato nel frattempo interpellato mediante il tesserino. Manca un'adeguata informazione per avere il silenzio-assenso informato, anche se siamo già stati chiamati ad esprimerci e quindi non si può più parlare semplicemente di consenso presunto.
Ma come spiega l’invio del tesserino? Come ha fatto il Ministro a legittimarlo, non essendo in alcun modo previsto dalla legge?
A ben vedere il tesserino è il risultato di una ben orchestrata operazione politica. Al posto di emanare i decreti attuativi della nuova legge, che gli competevano, il Ministro per un verso ha riattivato decreti esecutivi della precedente legge abrogata e per l'altro - ad un anno di distanza dall'entrata in vigore della legge - ne ha emanato un altro, introducendo, al posto della procedura di notifica prevista dalla legge, una nuova procedura che fa ventilare l'ipotesi del tesserino. Si faccia attenzione alla data: il decreto ministeriale è dell'8 aprile 2000 e poco dopo, nel mese di maggio, verrà inviato il tesserino, con l'unico scopo di avere (già nella fase transitoria) un documento attestante la volontà favorevole al prelievo in modo da neutralizzare l'eventuale opposizione dei famigliari (ancora possibile in questa fase, ma inefficace qualora venga - attestata la volontà favorevole all'espianto dell'interessato). Invece di attivarsi per un'ampia campagna informativa sui trapianti, il Ministro con il suo decreto e il tesserino di poco seguente ha preferito seguire la certo più facile via di manipolare il consenso con un'informazione mistificante.
Non so fino a che punto tutto ciò sia servito: le "donazioni - se vogliamo ancora chiamarle così - sono aumentate, ma forse non nella misura che ci si attendeva. E comunque dobbiamo, in conclusione, chiederci: non è troppo alto il prezzo che siamo stati costretti a pagare per qualche organo in più?

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