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MEDICINA PALLIATIVA ED EUTANASIA


La morte serena, dignitosa, priva di dolore costituisce - quasi paradossalmente - sia la finalità dell'eutanasia che quella della medicina palliativa. Il medesimo fine è condiviso da due modalità operative antitetiche l'una all'altra: l'uccisione diretta ed intenzionale di un individuo e l'accompagnamento del morente.
Per medicina palliativa si intende un insieme di interventi finalizzati ad alleviare il dolore e controllare la sofferenza nei malati inguaribili e con ridotta aspettativa di vita. I suoi fautori, tra i quali figurano noli soltanto medici o operatori sanitari, ma anche filosofi e teologi, dichiarano che i pazienti terminali assistiti con un adeguato piano di palliazione nella maggioranza dei casi muoiono serenamente. Molti medici (tra questi il Prof Franco Henriquet che ha descritto la propria esperienza professionale ed umana in toccanti pagine) possono testimoniare che anche i malati che, prima di essere sottoposti alle cure palliative, in preda al dolore ed alla sofferenza con insistenza chiedevano una iniezione letale per morire, dopo pochi giorni dall'inizio del trattamento cessavano di ripetere la loro richiesta di morte.
La medicina palliativa può dunque essere una valida ed efficace alternativa all'eutanasia? Se cosi dovesse essere perché se ne discute poco, perché l'informazione è carente, perché nei dibattiti si finisce sempre con il concentrare l'attenzione sulla "buona morte"?
L'argomento è piuttosto ampio e complesso e non è certo possibile esaurirlo in uno spazio limitato. Ad ogni modo ci pare necessario fare alcune precisazioni.
Sebbene il nostro Paese non possa ancora competere con i livelli stranieri (soprattutto del Nord Europa) di efficienza nel campo delle cure palliative, perché in Italia sono molti i problemi organizzativi ed i pregiudizi contro la medicina palliativa, considerata talvolta come una "parente povera" della Medicina che guarisce e salva la vita, negli ultimi quindici anni sono stati compiuti importanti progressi nel campo della palliazione.
Per rendersene conto è sufficiente prendere in esame i dati relativi alla costruzione di hospices, sul modello di quelli inglesi, e alla diffusione delle équipes che praticano cure palliative domiciliari. Secondo le informazioni disponibili sul sito della Fondazione Floriani di Milano (www.fondazionefioriani.it) nel nostro Paese esistono e sono operativi numerosi hospìces, al momento prevalentemente concentrati nel Nord Iltalia, in cui i pazienti terminali ricevono trattamenti farmacologici ed assistenza psico-terapeutica mirati, ovvero specificamente studiati per il soggetto che deve essere sottoposto ad essi. Con l'intento di garantire una morte serena e dignitosa, gli operatori di queste strutture pongono al centro dell'intervento (come è ovvio che sia) il paziente con tutte le sue componenti fisiche, emotive ed affettive e instaurano con lui una relazione basata sulla sincerità e sulla fiducia reciproche. La costante presenza di professionisti (esperti di medicina palliativa. ma anche oncologi, dietologi) è un altro elemento importante, per evitare che il malato terminale si senta abbandonato a se stesso solo per il fatto di non poter più guarire. Anche la famiglia del paziente, dove è presente, svolge un ruolo di primo piano, dal momento che essa sarà coinvolta nelle prestazioni assistenziale mentre il malato è ricoverato presso l'hospice. E sarà ancora la famiglia a seguirlo presso il domicilio quando il ricovero presso l'hospice può rappresentare la fase iniziale di un piano di palliazione che è successivamente continuato a casa.
Accanto all'attività svolta dagli /'hospices trovano posto, talvolta in modo sinergico con questi ultimi, i gruppi di operatori sanitari che prestano assistenza domiciliare ai pazienti terminali. Si tratta di gruppi formati da medici, infermieri e volontari non professionisti della salute, ciascuno con compiti specifici, seguiti periodicamente da psichiatri o analisti, ai quali gli stessi pazienti e le loro famiglie possono rivolgersi per ricevere sostegno psicologico.
Nonostante la sua apparentemente palese importanza ed utilità, la medicina palliativa nel nostro Paese trova qualche difficoltà a diffondersi all'esterno degli hospìces e dei gruppi che praticano le cure palliative: tra il personale sanitario le potenzialità degli interventi palliativi sono spesso sconosciute o sottostimate e restano ancora troppo radicati i pregiudizi nei confronti della somministrazione di farmaci derivati dalla morfina. Questa "immaturità" talvolta condanna pazienti terminali a sofferenze indicibili, che potrebbero invece essere placate.
Nel dibattito bioetico si sente spesso ricordare che anche la medicina palliativa -seppure in un numero ridotto di casi - è destinata a fallire: nonostante tutti gli sforzi, alcuni malati che ricevono cure palliative non traggono beneficio da esse. E pertanto, secondo i sostenitori dell'eutanasia attiva volontaria, è necessario predisporre una qualche "via di uscita3' per tali pazienti.
Non vogliamo impegnarci in questa sede in un discorso sull'eutanasia; vogliamo invece sottolineare che, a nostro parere, la ricerca farmaceutica può fare molto: nel XX secolo abbiamo assistito a progressi difficilmente immaginabili da un uomo del XIX secolo, progressi che hanno interessato anche la medicina palliativa.
Ciò che serve davvero è il desiderio di impegnarsi seriamente in un progetto complesso, che richiede competenze provenienti da molteplici settori, quale è appunto quello delle cure palliative: risorse umane, psicologiche, economiche, scientifiche sono una condizione necessaria per poter giungere a risultati apprezzabili, ma non sufficiente.

Rosangela Barcaro          
C.N.R. - Genova
           


 
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