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Joseph RATZINGER,
Introduzione allo spirito della liturgia, (Ed. San Paolo 2001)



Già il titolo, che richiama il celebre testo di Romano GUARDINI, Lo spirito della liturgia, colloca quest'opera del Cardinale RATZINGER nell'alveo di quel movimento liturgico, le cui nobili aspirazioni sono state travisate, o, per meglio dire, tradite, dalle scelte successive al Concilio Vaticano Il.
E' un libro ricco di suggestioni e di spunti, in cui troviamo enunciati alcuni importantissimi principi generali relativi ad un corretto approccio alla liturgia, principi che qui vogliamo brevemente esporre.
Premesso che il "culto" cristiano va oltre l'azione liturgica, abbracciando l'ordine di tutta la vita umana, il Cardinale giunge a definire il culto come "il giusto modo di rapportarsi a Dio", modo che non può che essere innanzitutto quello della adorazione, anticipazione in terra della visione beatifica.
L'uomo non può quindi "farsi" da sé il proprio culto: la vera liturgia presuppone che Dio mostri come noi possiamo adorarlo, implica una qualche forma di istituzione.
Il culto non nasce allora dalla creatività, dalla fantasia dell'uomo: l'apostasia rappresentata dall'episodio biblico del vitello d'oro consisteva spiega il Cardinale - nel voler far scendere Dio al proprio livello, riducendolo a categorie di visibilità e comprensibilità: "in tal modo il culto non è più un salire verso di Lui, ma un abbassamento di Dio alle nostre dimensioni.
Non è forse proprio questa la piaga principale della liturgia postconciliare, la pretesa di un culto "accessibile", "comprensibile", che abbassa la divinità e non innalza l'uomo?
Di particolare pregio, poi, contro la mentalità desacralizzante che si vanta di discendere dalla "novità" evangelica, è la considerazione del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo cui è invece necessario conservare luoghi e tempi santi, distinti da quelli comuni o mondani, giacché la nuova Gerusalemme, che non ha più bisogno del tempio, non è ancora qui.
Noi - ci ricorda il Cardinale RATZINGER - viviamo il tempo della Chiesa, ossia una fase intermedia del cammino della storia: "il velo del tempio si è squarciato, il cielo si è aperto... ma questa nuova apertura si comunica a noi solo attraverso i segni della salvezza.... La teologia della liturgia è in modo particolare teologia dei simboli che ci legano a Colui che è al contempo presente e nascosto.. Prendiamo parte alla liturgia celeste, sì, ma questa partecipazione si comunica a noi attraverso i segni terreni che il Redentore ci ha mostrato come spazio della sua realtà".
E' questo un altro punto veramente cruciale della dottrina liturgica: dimenticare la nostra condizione di viatores porta a presumere di poter fare a meno dei simboli, dei riti, della stessa "religione", che sarebbe sostituita da una pura fede, la quale, a sua volta, non avrebbe altra manifestazione che nella solidarietà. Per questo è importante recuperare il senso del limite dell'esistenza umana e della sua condizione sulla terra.
Mantenendosi sempre sul piano dei principi generali, più volte il Cardinale sottolinea la non arbitrarietà della liturgia, dal cui ambito deve essere espunta la categoria della creatività, categoria cresciuta nella visione del mondo propria del marxismo.
Invero, "nella liturgia mi viene incontro qualcosa che non sono io a farmi da me stesso, io entro in qualche cosa di più grande, che ultimamente, proviene dalla Rivelazione".
Ed allora il divenire nella liturgia non può che essere organico, ossia come quello di una pianta, le cui leggi di crescita determinano le possibilità di ulteriore sviluppo.
Il Cardinale non esita ad affrontare anche una questione assai delicata, ossia quella dei limiti del potere del Papa in materia liturgica e dà una risposta senz'altro coraggiosa, ispirandosi al testo della Pastor aeternus del Concilio Vaticano I: "Il Concilio Vaticano I non ha per nulla inteso definire il Papa come un monarca assoluto, ma, al contrario, come il garante dell'obbedienza rispetto alla parola tramandata: la sua potestà è legata alla tradizione della fede e questo vale anche nel campo della liturgia. Essa non è 'fatta' da funzionari. Anche il Papa può solo essere umile servitore del suo giusto sviluppo e della sua permanente integrità ed identità... L'autorità del Papa non è illimitata; essa sta al servizio della santa tradizione. Meno ancora si può conciliare una generica 'libertà' di fare, che proprio come tale si muta in arbitrio con l'essenza della fede e della liturgia. La grandezza della liturgia si fonda proprio sulla sua non arbitrarietà". Basterebbero queste parole a creare nei fedeli legati alla tradizione, tanto a lungo provati da persecuzioni e soprusi, un debito di profonda riconoscenza nei confronti del Cardinale RATZINGER. Ma molti altri sono gli insegnamenti di questo libro che ce lo rendono caro.
Ne vogliamo citare ancora almeno due: uno relativo all'orientamento dell'altare e l'altro riguardante la preghiera in ginocchio.
La celebrazione versus populum è frutto, secondo il Cardinale, della dimenticanza della regola generale della preghiera verso oriente e di un gravissimo fraintendimento storico: prendendo ad esempio l'altare nella Basilica di San Pietro non si è considerato che questa Basilica guardava verso Occidente: "se dunque il sacerdote celebrante voleva guardare verso oriente, allora egli doveva trovarsi dietro il popolo e di conseguenza guardava verso il popolo". La posizione non era quindi data dall'intenzione di guardare il popolo, ma dalla regola della preghiera comunque verso oriente. Né vale l'obiezione desumibile dalla presunta forma del banchetto: a parte ogni considerazione sulla irriducibilità del sacrificio eucaristico ad un semplice banchetto, "in nessun pasto dell'inizio dell'era cristiana il presidente di un'assemblea di commensali stava di fronte agli altri partecipanti. Essi stavano tutti seduti o distesi sul lato convesso di una tavola a forma di sigma...".
La celebrazione versus vopulum", prescindendo dall'orientamento classico, ha prodotto "una clericalizzazione quale non si era mai data in precedenza. Ora infatti il sacerdote - o il 'presidente' come si preferisce chiamarlo - diventa il vero e proprio punto di riferimento di tutta la celebrazione. Tutto termina su di lui. E' lui che bisogna guardare, è alla sua azione che si prende parte, è a lui che si risponde: è la sua creatività a sostenere l'insieme della celebrazione.... L'attenzione è sempre meno rivolta a Dio ed è sempre più importante quello che fanno le persone che qui si incontrano e che non vogliono sottomettersi ad uno schema prestabilito...".
Contro questa nefasta tendenza, il Cardinale ricorda che il comune orientamento ad est è essenziale alla liturgia giacché "non è importante lo sguardo rivolto al sacerdote, ma l'adorazione comune, l'andare incontro a Colui che viene. Non il cerchio chiuso in se stesso esprime l'essenza dell'evento, ma la partenza comune, che si esprime nell'orientamento comune Dal punto di vista pratico, prezioso appare il suggerimento che nelle chiese dove oramai si è costruito l'altare ad populum, si ponga al centro di esso la Croce, quale punto cui rivolgono lo sguardo tanto il sacerdote che la comunità orante: "tra i fenomeni veramente assurdi del nostro tempo - scrive il Cardinale - io annovero il fatto che la Croce venga collocata ad un lato per lasciare libero lo sguardo sul sacerdote. Ma la croce, durante l'eucarestia, rappresenta un disturbo? Il sacerdote è più importante del Signore?".
Ugualmente coinvolgenti ed affascinanti sono le pagine, ispirate all'opera di P. SINOIR, relative alla preghiera in ginocchio: "chi impara a credere - ammonisce il Cardinale - impara ad inginocchiarsi; una fede o una liturgia che non conoscono più l'atto di inginocchiarsi, sono ammalate in un punto centrale. Dove questo gesto è andato perduto, dobbiamo nuovamente apprenderlo, così da rimanere con la nostra preghiera nella comunione degli apostoli e dei martiri, nella comunione di tutto il cosmo, nell'unità con Gesù Cristo stesso".
Con questo libro il cardinale RATZINGER dimostra di essere non solo un valente teologo e un coraggioso Pastore, ma soprattutto un uomo dì fede.
La buona battaglia può continuare con maggiore fiducia.


 
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